NOVI
Ligure

La Storia

Nel 1529 Novi Ligure è ufficialmente annessa ai territori della Repubblica di Genova che realizza così il piano di espansione verso la Pianura Padana voluta da Andrea Doria che aveva individuato nel borgo d’Oltregiogo un avamposto strategico, terra di mezzo tra ducato di Milano, ducato di Savoia e marchesato del Monferrato, destinato a divenire dinamico crocevia di commerci e florido centro agricolo per la coltivazione del grano e della vite. I Genovesi ne faranno la loro capitale d’Oltregiogo, luogo di lavoro, rappresentanza e villeggiatura, trasformandolo in un centro urbano monumentale, moderno e comodo. Tra il 1622 e il 1692 l’istituzione delle Fiere di Cambio in città di fatto cambiarono in positivo le sorti di Novi: per settant’anni, quattro volte l’anno, per quattro giorni i Genovesi accolsero a Novi banchieri veneziani, lombardi, toscani, romani, napoletani, ma anche stranieri, per scambiare valuta e lettere di cambio, contratti di trasporto e assicurazioni emessi sulle piazze di tutta Europa.

Come è facile immaginare lo sviluppo urbano, culturale e umano del piccolo centro di Novi, si fuse con la genovesità, con un riscontro sulle scelte urbanistiche, architettoniche e figurative. Committenze genovesi, linguaggi e scelte artistiche diedero alla capitale dell’Oltregiogo quell’aspetto tipico che ancora oggi la affiancano immancabilmente alla città di Genova. La fine delle fiere di cambio, spostate altrove, sul finire del secolo, non sembra aver avuto contraccolpi sullo sviluppo della città, che proprio nel Settecento conosce interventi di restyling e rifacimento dei palazzi nati per rappresentanza delle famiglie genovesi, che li trasformerà in splendide dimore arredate secondo i più moderni dettami della moda rococò. Parallelamente alle attività economiche e di sviluppo architettonico e urbanistico, altre attività tipicamente liguri entrano a far parte della tradizione e della storia dell’Oltregiogo, come l’usanza di riunirsi in associazioni laiche intorno al santo patrono di un quartiere o di un territorio, tipologia denominata confraternita o casaccia. Sorte in tempi di intenso fervore religioso e di spiccata tendenza all’associazionismo e al mutuo soccorso, le confraternite perseguirono sempre questo duplice scopo, religioso e mutualistico e la loro vitalità costituisce una parte fondamentale dello sviluppo della società da un punto di vista religioso, civile e artistico. Le Confraternite promossero una fervida stagione di arte sacra, in tutte le sue manifestazioni: pittura, scultura e architettura. A loro si devono le committenze di buona parte delle opere tra il Seicento e il Settecento, con un correlato sviluppo di linguaggi innovativi e dedicati.
 
Nel 1529 Novi Ligure è ufficialmente annessa ai territori della Repubblica di Genova che realizza così il piano di espansione verso la Pianura Padana voluta da Andrea Doria che aveva individuato nel borgo d’Oltregiogo un avamposto strategico, terra di mezzo tra ducato di Milano, ducato di Savoia e marchesato del Monferrato, destinato a divenire dinamico crocevia di commerci e florido centro agricolo per la coltivazione del grano e della vite. I Genovesi ne faranno la loro capitale d’Oltregiogo, luogo di lavoro, rappresentanza e villeggiatura, trasformandolo in un centro urbano monumentale, moderno e comodo. Tra il 1622 e il 1692 l’istituzione delle Fiere di Cambio in città di fatto cambiarono in positivo le sorti di Novi: per settant’anni, quattro volte l’anno, per quattro giorni i Genovesi accolsero a Novi banchieri veneziani, lombardi, toscani, romani, napoletani, ma anche stranieri, per scambiare valuta e lettere di cambio, contratti di trasporto e assicurazioni emessi sulle piazze di tutta Europa.

Come è facile immaginare lo sviluppo urbano, culturale e umano del piccolo centro di Novi, si fuse con la genovesità, con un riscontro sulle scelte urbanistiche, architettoniche e figurative. Committenze genovesi, linguaggi e scelte artistiche diedero alla capitale dell’Oltregiogo quell’aspetto tipico che ancora oggi la affiancano immancabilmente alla città di Genova. La fine delle fiere di cambio, spostate altrove, sul finire del secolo, non sembra aver avuto contraccolpi sullo sviluppo della città, che proprio nel Settecento conosce interventi di restyling e rifacimento dei palazzi nati per rappresentanza delle famiglie genovesi, che li trasformerà in splendide dimore arredate secondo i più moderni dettami della moda rococò. Parallelamente alle attività economiche e di sviluppo architettonico e urbanistico, altre attività tipicamente liguri entrano a far parte della tradizione e della storia dell’Oltregiogo, come l’usanza di riunirsi in associazioni laiche intorno al santo patrono di un quartiere o di un territorio, tipologia denominata confraternita o casaccia. Sorte in tempi di intenso fervore religioso e di spiccata tendenza all’associazionismo e al mutuo soccorso, le confraternite perseguirono sempre questo duplice scopo, religioso e mutualistico e la loro vitalità costituisce una parte fondamentale dello sviluppo della società da un punto di vista religioso, civile e artistico. Le Confraternite promossero una fervida stagione di arte sacra, in tutte le sue manifestazioni: pittura, scultura e architettura. A loro si devono le committenze di buona parte delle opere tra il Seicento e il Settecento, con un correlato sviluppo di linguaggi innovativi e dedicati.

In questa sede la nostra attenzione sarà nello specifico concentrata sulla tematica della stagione della scultura nel corso del XVII e XVIII secolo: Crocefissi, casse professionali, gruppi di Santi per le processioni, statue in marmo e stucco per chiese e oratori.
L’ESPERIENZA NOVESE Caratteristica e vanto per le chiese di Novi Ligure è sempre stato quello di possedere delle sculture lignee che un giorno l’anno, nella festività del patrono, venivano portate in processione dalle Confraternite o Casacce, usando il tipico termine genovese che sta ad indicare compagnie e comunità che si raccoglievano intorno alla parrocchia e che venivano intitolate al santo patrono. La storia delle Casacce genovesi trova eco nei ricordi letterari e nei racconti popolari sulle rivalità tra le confraternite di un rione con il rione limitrofo. Già i cronisti del secolo XIII si occupavano della devozione delle confraternite che, sorte a perugina, ebbero in Liguria grande sviluppo e malgrado le persecuzioni, vi si mantennero tenacemente, recando non piccole noie al Governo della Repubblica che ne doveva regolare Statuti e attività. La pratica diffusa tra le confraternite di vestire il sacco e coprirsi il volto col cappuccio munito di due fori per gli occhi sembra originario della Parvenza e diffusosi in Liguria nella prima metà del secolo XIV. Ne è testimonianza la rappresentazione sulla predella della tavola dedicata alla Vergine dell’Umiltà dipinta da Bartolomeo da Camogli nel 1357. Dovette essere istituito addirittura uno speciale magistrato della Repubblica per la scelta dei dodici che portassero il crocco (quel particolare bossolo tenuto alla cintola sul quale poggiava il Crocefisso durante le processioni), alle tasche, ai bottoni delle cappe, alle ornamentazioni dei cappucci, alla proibizione di portare armi, per evitare funeste conseguenze nelle inevitabili risse tra le varie Casacce. Tipicamente settecenteschi il lusso nei vestimenti da parata, la bellezza delle casse, veri e propri monumenti in legno del Santo Patrono, scolpiti da artisti / artigiani di grande valore, i bei Crocefissi, bianchi e mori (eterni rivali) dalla croce incrostata di tartaruga e ornata nelle parti terminali dei bracci da decorazioni in oro e argento sbalzato. Il corredo della Casaccia comprendeva: la cassa del Santo patrono, il grande Crocifisso, le cappe dei priori a strascico, altrimenti detti Pastorali, che venivano sorretto dai paggi, le mazze ornate con le statue d’argento del Patrono, le cappe per i fratelli e i cappini per i paggi. Le Casacce erano molte e si intitolavano al nome del Santo Patrono o dell’Oratorio da cui dipendevano: ogni quartiere genovese ad esempio ne poteva possedere quattro, composte da operai, facchini, tintori, pescatori ecc. Le Confraternite che possedevano casse, Crocifissi e costumi, non erano soltanto quelle dei rioni genovesi: in ogni paese e in ogni città della Liguria le confraternite avevano le loro belle casse processionali, i grandiosi Cristi e le sontuose cappe. Anche Novi Ligure rientra in questo panorama appena decritto. Fra le sculture più sontuose si possono citare la Madonna del Rosario della chiesa di San Nicolò, il gruppo dell’ Addolorata in S. Andrea, quello della SS. Trinità (chiamato “il Padreterno”) nell’omonimo Oratorio , la Madonna del Carmine e il gruppo ancora di Tobia e l’Arcangelo Raffaele nella chiesa di San Pietro, la Madonna dell’Assunta conservata nella sacrestia di San Pietro, tutte statue da processione che per sontuosità e magnificenza potrebbero competere con i più begli esemplari genovesi citati in catalogo dal Grosso. Anche a Novi, come altrove, essi richiamavano alla memoria le diverse compagnie a cui appartenevano.
Tra le caratteristiche nessun elemento andava escluso, i caratteri esteriori, come la grazie dei volti, delle persone, la sontuosità delle vesti, i volti degli angeli, le testine dei putti adoranti, corone, aureola, gioielli che i fedeli offrivano per la grazia ricevuta e ancora i grandi troni per rendere ancora più imponente ed eterea l’immagine del patrono: erano momenti ed esempi di devozione, sacrificio, umiltà che sfociavano in quella pompa esteriore e, come certe processioni appunto, quelle popolari manifestazioni solenni.
Per ritornare all’analisi della situazione novese è chiaro che l’essere l’entroterra della Repubblica genovese portò all’inevitabile assorbimento di grandi influenze e, nella scultura, così come abbiamo visto, nella pittura, a rappresentare un territorio di potenziale lavoro ed operosità per gli artisti genovesi. A Genova si sviluppò, per soddisfare a tutte le richieste delle casacce, una vera e propria scuola di grandi artisti genovesi, come Anton Maria Maragliano, ma si possono citare ancora artisti di pieno ‘500 da Filippo Santacroce, detto Maestro Pippo, Bissoni padre e figlio, da Torre che era stato maestro di Maragliano a Domenico Parodi di scuola berniniana e sicuramente, a partire dal XVIII secolo, botteghe di cartapestai. La storia delle casacce viene, almeno indirettamente interrotta con decreto napoleonico nel 1806 che le soppresse. Successivamente ci fu una certa ripresa, ma le mutate condizioni sociali e il tramonto della devozione spettacolare, di fatto le portarono ad un lento decadimento, il periodo d’oro era superato e non sarebbe mai ritornato. Il momento di maggior investimento e di rinnovamento figurativo e architettonico per le città dell’Oltregiogo e in particolar modo per Novi Ligure avviene nel corso del Settecento e l’obiettivo di rappresentanza non si limita alla realizzazione di casse per le processioni, ma anche e soprattutto all’ideazione di opere di statuaria per la devozione quotidiana all’interno delle chiese. Novi sembra aggiornare il proprio repertorio scultoreo con una tranquilla lentezza e assimilando l’arte di Maragliano, a quanto sembra, solamente in seconda battuta. Raggiunge però vette sublimi in particolare con i tre altari in stucco della chiesa dell’Oratorio della Trinità che Cervini pone alla metà del secolo9 . Studi recenti hanno permesso di restituire alcune datazioni certe in merito a suddetti altari. Nel 1643 viene effettuato un grosso pagamento al maestro stuccatore Pietro Riva per la “fattura dell’altare maggiore”, collocando a quasi un secolo di distanza l’altare maggiore dai due laterali, che come vedremo tra poco, vengono attribuiti a altri maestri plasticatori. Si può ipotizzare l’appartenenza del maestro Riva alla scuola di stuccatori plasticatori ticinesi, tra i quali le ricerche indicano vari spostamenti verso la Liguria. Le sue radici culturali si innesterebbero nel linguaggio tardo manieristico lombardo e perdurante alle soglie del ‘700 attraverso i seguaci di Morazzone e degli stuccatori ticinesi Casella, Galeazzo Riva e Francesco e Agostino Silva. In particolare con Galeazzo Riva, importante maestro plasticatore valtellinese, mostra chiare e suggestive affinità che potrebbero far pensare a una origine famigliare comune, seppur il Riva novese dimostri un aggiornamento più meditato. Appare comunque dominare in lui la cultura figurativa del primo seicento milanese, satura di fermentio tardo manieristico, in cui una sofisticata ricerca formale va abbinata a una forte tensione espressiva e a una sofferta adesione alla realtà. Questo linguaggio di perdurante vitalità, viene rielaborato e arricchito di nuovi spunti a matrice ligure. Che Novi sia crocevia di varie influenze regionalistiche è dimostrato altresì dalla presenza di Giovanni Giacomo Bertesi che sul fare del ‘700 lavora a Novi. Glorioso scultore di Cremona, ormai avviato al termine della sua carriera e reduce da esperienze a Valencia e Genova, realizza per l’oratorio della Maddalena e del Crocefisso una statua dedicata all’omonima santa. Del 1709 è la maestosa statua da processione in cartapesta realizzata da Paolo Serra e Pio Mario Bovone per la confraternita della Trinità, raffigurante il soggetto cui è intitolata l’omonima confraternita: una Trinità di notevoli dimensioni (oltre 5 metri di altezza). Attualmente in restauro sta dando evidenza di una grande maestria e preziosità, dando ragione di ciò che le carte d’archivio hanno restituito, ovvero che la cassa processionale sia stata realizzata dal Serra e dal Bovone, seguendo scrupolosamente un “disegno custodito in archivio segreto”, del quale però non abbiamo traccia. Il rinnovamento settecentesco si compie nella statuaria all’interno della Trinità con il completamento degli altari laterali, collocati con certezza tra il 1730 e il 1740 e attribuiti a Luigi Fasce. L’archivio della Trinità ci permette di attribuire e datare quegli altari che Cervini indica come sublimi: Beretta e Luigi Fasce vengono incaricati per la realizzazione delle cappelle e delle statue, nello specifico l’altare laterale destro intitolato a Nostra Signora della Guardia con le statue a tutto tondo di Fede e Carità e quello sinistro intitolato all’Umiltà con le relative statue allegoriche. I documenti aprono la ricerca a un percorso sulla scultura a Novi individuando nel maraglianesco Fasce uno scultore molto attivo: nel 1728 viene individuato in città a lavorare alla cappella del Crocefisso all’interno della chiesa di San Pietro ove interviene su una preesistente scultura, realizzando in legno una Madonna Addolorata e un San Giovanni Evangelista, oltre le due allegorie dell’Amore Divino in stucco, dimostrando la sua capacità di plasticatore di passare da uno all’altro materiale con leggiadria. Ancora pare presente in Sant’Andrea nel 1756 quando viene pagato un Fasce di Ovada per un San Pietro, a conferma del suo ruolo di plasticatore in stucco.
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